Situata nella provincia dello Shanxi, nell’area settentrionale della Cina, Pingyao rappresenta oggi
uno degli ultimi esempi di come era un’antica piccola cittadina cinese.
Patrimonio dell’UNESCO in quanto esempio eccellente di città cinese Han fornisce un quadro
straordinariamente completo dello sviluppo culturale, sociale, economico e religioso, durante uno
dei periodi più importanti della storia cinese.
La città ha mantenuto intatta la sua planimetria, le mura che la circondano, le case, le strade.
Pingyao quindi si presenta ancora oggi come erano le cittadine dell’antica Cina. Lungo le strade
principali si affacciano diversi portoni; dentro ognuno di loro un mondo. Attraverso stretti cunicoli si
accedere a piccole piazze indipendenti, a cortili sui quali si affacciano bassi caseggiati. Inoltre, da
ogni piazzetta si diramano altri vicoli, sembra di trovarsi in uno strano sistema di scatole poste
l’una dentro l’altra a volte collegate tra loro.
Il reportage nasce come un tentativo di omaggio al grande Maestro Marc Riboud, fotografo della
Magnum scomparso di recente, che mi aveva folgorato con una straordinaria foto scattata in Cina
che ritraeva la vita di un vicolo attraverso le armoniose vetrate di una porta.
Avevo deciso di partire, per cercare una qualche località fuori da ogni circuito turistico, in cui
trovare ancora una piccola parte dell’antica Cina. Nella fase di progettazione del reportage mi sono
ricordato di aver letto in uno dei libri di Tiziano Terzani come, in uno dei suoi rocamboleschi
viaggi, aveva raggiunto la cittadina di Pingyao e ne aveva apprezzato la bellezza e l’autenticità.
Allora ho pensato che quella poteva essere la mia meta.
Ho quindi realizzato il mio reportage alle prime luci dell’alba, tuffandomi letteralmente nei vicoli,
soffermandomi nei cortili, accettando persino l’invito a prendere un tè in casa, per conoscere le
persone, scambiare qualche parola, cercare di stabilire un contatto e cogliere con le mie immagini
le loro espressioni più autentiche
Ne è valsa veramente la pena. Pingyao all’epoca conservava ancora il fascino dell’antica Cina, che
oggi temo sia stato snaturato da quel turismo insensato che toglie intimità ai luoghi.
ROM FIGLI DI UN DIO MINORE
QUELLA SUI CAMPI NOMADI E' UNA RICERCA INIZIATA NEL 1999 E DURATA OLTRE 5 ANNI.
NE E’ SCATURITO UN REPORTAGE CHE PROPONE UN VIAGGIO NEL MONDO DELLA COMUNITA’ ROM DELLA CAPITALE SENZA LE CONSUETE MEDIAZIONI DEL PREGIUDIZIO E DELL’ICONOGRAFIA AL NEGATIVO CHE SPESSO CIRCONDA QUESTA GENTE.
L’OBIETTIVO E’ STATO QUELLO DI SCOPRIRE E FARE CONOSCERE DOVE E COME VIVONO QUESTE PERSONE, DI SUPERARE L’IMMAGINE DELLO ZINGARO CHE CHIEDE L’ELEMOSINA PER STRADA, CHE RUBA NELLE CASE, CHE AGGREDISCE, PER ARRIVARE AD INCONTRARE LA PERSONA, IL SUO MONDO, LE SUE PAURE, LE SUE SPERANZE, I SUOI SENTIMENTI.
UN INCONTRO CHE NON HA POTUTO PRESCINDERE DALLE CONDIZIONI DI ABBANDONO E DI DEGRADO IN CUI VIVE QUESTO POPOLO, CHE QUINDI ENTRANO NEL REPORTAGE AFFIANCANDO LE IMMAGINI DI UOMINI, DONNE E BAMBINI QUASI AD ESSERE PARTE INTEGRANTE DEL LORO ESSERE.
ENTRARE IN UN CAMPO NOMADI ED ESSERE ACCETTATI FINO QUASI A ESSERE CONSIDERATI PARTE DI ESSO, E’ STATA L’ALTRA CONDIZIONE NECESSARIA PER POTER REALIZZARE QUESTO REPORTAGE, UN PASSAGGIO COMPLESSO CHE HA RICHIESTO MOLTI MESI DI LAVORO, DI PRESA DI CONTATTO DISCRETA E PROGRESSIVA, DI CONDIVISIONE DI ESPERIENZE , DI PRESENZA FISICA, PARTECIPANDO CONCRETAMENTE ALLA LORO VITA, ASCOLTANDO I LORO RACCONTI E LE LORO ESPERIENZE. SEI MESI ALLA FINE DEI QUALI SI E’ STABILITO UN RAPPORTO DI CONSUETUDINE E ACCETTAZIONE DEL FOTOGRAFO E DELLA MACCHINA FOTOGRAFICA, NON PIU’ CONSIDERATI ESTRANEI E PERICOLOSI.
Conosciuto come il luogo dove si sosta prima di proseguire per il famosissimo sito di Machu Picchu, Cusco ospita diverse cliniche private dedicate proprio ai turisti che soffrono per lo sbalzo di altitudine e che pagano in dollari.
Ho invece rivolto il mio obiettivo verso l’ospedale pubblico più importante della zona, l’Ospedale Regionale che ospita e cura la popolazione locale. Dentro i padiglioni ho potuto incontrare e conoscere medici, infermieri e ammalati.
Illuminati da una potentissima luce che solo a 3500 metri di quota si può avere, contrastatissima e tagliata proprio come una lama di coltello, apparivano e scomparivano alla mia vista, i padiglioni, le stanze e i pazienti. Tutto ciò che la luce colpiva emergeva imponente dall’oscurità più profonda, tutto ciò che era in ombra era buio nero come la pece.
Da moltissimi anni oramai sono innamorato di questa luce e della sua durezza. Credo che aiuti a esprimere meglio la vita delle persone che io sono abituato a fotografare. Persone che sono sempre, per tutta la vita in una specie di cono d’ombra, nessuno li vede , nessuno o quasi si occupa di loro. Ovviamente non mi riferisco solo ai ricoverati dell’Ospedale Regionale di Cusco, né ai peruviani in genere ma a tutta quella popolazione mondiale che vive una vita che non interessa a nessuno, persone che non hanno riflettori puntati contro, ma che meriterebbero lo stesso di poter vivere dignitosamente e in pace con gli altri
Il reportage fa parte di un più ampio progetto di documentazione della vita degli abitanti dei villaggi in altura superiori ai 3500 metri che si trovano arroccati nella Cordigliera nera delle Ande peruviane e del lavoro dei volontari italiani della ong Operazione Mato Grosso che con abnegazione si occupano di loro.
Il cinema è stato il mezzo attraverso il quale ho imparato a raccontare con le immagini e questo progetto vuole essere proprio un omaggio a quei grandi maestri, alcuni purtroppo oramai scomparsi, che hanno fatto conoscere e apprezzare il grande cinema italiano all’estero. La linea guida è stata quella di ritrarli nei luoghi in cui vivono, lavorano o che amano di più, senza l’ausilio di luci accessorie ma mantenendo il più possibile l’atmosfera presente. Il bianco e nero è il linguaggio predominante, nel quale maggiormente mi riconosco e con il quale ho realizzato la maggior parte dei miei reportage, è il linguaggio che immediatamente ci riporta alla straordinaria stagione del nostro neorealismo cinematografico.
Dal 9 dicembre 1992 al 4 maggio 1993, a seguito di una risoluzione ONU, la comunità internazionale è intervenuta in Somalia per cercare di porre fine alla sanguinosa guerra civile scoppiata dopo la deposizione del dittatore Siad Barre.
La missione denominata Restor Hope ha visto la partecipazione di molte nazioni tra cui l'Italia.
Nata per rendere sicure le strade e così permettere la distribuzione degli aiuti umanitari, ben presto si è trasformata in una vera e propria guerra.
Il reportage realizzato nei primi mesi(febbraio) del 1993, non mostra solo i vari momenti dell'operazione militare: garantire la sicurezza dei convogli di aiuti, bonificare il territorio e sequestrare armi, costata tra l'altro la vita di 11 militari italiani e quella della giornalista delTG3 Ilaria Alpi e dell'operatore Miran krovatin, ma mostra anche le condizioni di una popolazione allo stremo, ne registra la sofferenza, la ricerca degli aiuti, spesso ottenuti dopo lunghe file, la condizione sanitaria assolutamente fuori controllo, l'incertezza del futuro .
Wat Phra Baht Nam Phu - Il Monastero dell' Hiv
Nell'ospedale di Wat Phra Baht Nam Phu, a 160 km a nord di Bangkok, sono ricoverati i malati
terminali di AIDS tra cui molti giovani monaci.
Le immagini raccontano alcune fasi della malattia, le cure amorevoli di Michael Serrano, lo
straordinario missionario cattolico che mi ha accolto, fino alla morte.
L'impatto è stato fortissimo. Mi sono trovato davanti ad una sofferenza muta, sorda.
L'unica reazione possibile per un fotografo, in questi casi, è quella di guardarla in faccia attraverso
l'obiettivo della macchina fotografica per raccontarla usando un unico senso: la vista. Uno sguardo
mediato appunto dall'obiettivo, spesso un grandangolare, cercando comunque di essere sempre
rispettoso verso i malati, evitando ogni forma di vuoyerismo, e di artificiosa drammatizzazione.
BRIVIDI D’INDIA, il gelo dell’anima, E' UNO DEI MOLTI REPORTAGE REALIZZATI IN INDIA NEL CORSO DEGLI ANNI.
SONO FOTOGRAFIE IN BIANCO E NERO, RITRATTI DI UOMINI, DONNE, GIOVANI E ANZIANI.
IL GELO QUELL'ANNO ERA UNA CONDIZIONE OGGETTIVA, PERCHE' IL PAESE ERA STATO COLPITO DA UNA STRAORDINARIA ONDATA DI FREDDO.
LA POVERTA' CHE ERA- ED E' ANCORA NONOSTANTE IL PROGRESSO- UNA PIAGA IN INDIA, RENDEVA LE PERSONE PARTICOLARMENTE FRAGILI, ESPOSTE COME ERANO NEI POVERI ABITI CHE INDOSSAVANO. SEMBRAVA NON CI FOSSE RIPARO A QUEL GELO, CHE ENTRAVA DENTRO E PIANO PIANO DIVENTAVA GELO DELL’ANIMA
E MENTRE I GIOVANI RIUSCIVANO ANCORA A SORRIDERE ALL’OBIETTIVO, GLI ANZIANI, STATUARI, IMMOBILI, FIERI E ALLO STESSO TEMPO UMILI, COLPIVANO COI LORO SGUARDI PROFONDI E LONTANI, COME SE SI RIVOLGESSERO NON AL QUI E ORA, E NEPPURE A QUESTO MONDO, MA AL MONDO DELL’OLTRE.
L'AMORE PER IL JAZZ RISALE A MOLTISSIMI ANNI FA GRAZIE ALLL’ INCONTRO SCONVOLGENTE E RIVELATORE CON LA MUSICA DI JOHN COLTRANE.
MUSICA DELL'ANIMA, . RITMO CHE SGORGA DAL CUORE ED E' FORZA , RABBIA, DOLORE, SPERANZA, LIBERAZIONE, PREGHIERA E DENUNCIA.
MA L'ESIGENZA PIU' GRANDE OGNI VOLTA CHE HO POTUTO INCONTRARE E ASCOLTARE DAL VIVO QUESTI UOMINI E LA LORO MUSICA E' STATA QUELLA DI FOTOGRAFARLI PER RACCONTARE IL JAZZ, ATTRAVERSO LE IMMAGINI. I LORO VOLTI, LA LORO POSTURA, LE LORO ESPRESSIONI.
LA CONCENTRAZIONE CHE TRASPARE DALLE LUCI BASSE DEL PALCOSCENICO E’ L'ESPRESSIONE MATERIALE, FISICA, DI QUESTO GENERE MUSICALE.
IL SENSO VERO DI QUESTO LAVORO, NON UN REPORTAGE, MA UNA VARIAZIONE SUL TEMA, UNO STUDIO, O FORSE SOLO UNA OPERAZIONE DI AMORE E PASSIONE.